Una riflessione sulle classifiche delle università italiane del SOLE24ORE

Pubblicato il 27 Luglio 2015 | Autore: | Categoria: Diritto allo Studio & Cittadinanza, Primo Piano

È di qualche giorno fa la pubblicazione della oramai nota classifica delle Università Italiane da parte del Sole24Ore. Seppur il nome autorevole del giornale e la quantità di indicatori usati fanno credere ad un lavoro certosino e di spessore, è necessario darne una lettura che dipani da possibili fraintendimenti. Innanzitutto dobbiamo precisare che le classifiche, soprattutto quelle internazionali, non sono uno strumento attendibile. Non possono esserlo e l’intera comunità accademica ne è ben consapevole perché non ci sono criteri oggettivamente osservabili. Ad esempio il contesto sociale ed economico. Un indicatore come l’occupabilità non può dirsi identico ed oggettivo tra la Lombardia, ad esempio, e l’Abruzzo o una regione del sud. Quindi come primo punto ci sentiamo come organizzazione di distaccarci da qualsiasi “voto in pagella” si voglia dare agli Atenei.

Dopotutto basti pensare a quello che è accaduto recentemente con il famoso “emendamento Meloni” che proponeva, come strumento di giudizio nei concorsi pubblici, la provenienza dagli Atenei introducendo di fatto un sistema di classificazione degli stessi. L’emendamento, grazie anche alle pressioni sia degli studenti e dell’UDU sia di tutto il mondo accademico e non solo, è stato ritirato dal Governo stesso affermando due principi, il primo che non si deve mettere in discussione il valore legale del titolo di studi e secondo che classificare gli Atenei non è possibile, anche se c’è sempre qualcuno vorrebbe provarci.

Andiamo però nello specifico di alcuni indicatori e proviamo a darne una lettura. Infatti i diversi indicatori sono comunque provenienti da fonti autorevoli e certe come Anvur o MIUR o ANS o ALMALAUREA e quindi possiamo ricavarne delle buone informazioni

SOSTENIBILITÀ

Questo punto è particolarmente importante per il nostro Ateneo e soprattutto per il dibattito sull’offerta formativa degli ultimi anni. L’indicatore viene calcolato come numero medio dei docenti di ruolo nelle materie di base e caratterizzanti per un corso di studio ovvero quelle materie fondamentali che si trovano soprattutto nei primi anni e che dovrebbero, secondo questo indicatore, essere insegnate da docenti di ruolo.

L’Ateneo dell’Aquila si trova nella penultima posizione ma quanto c’è di vero sulla sostenibilità? Nascono due riflessioni: la prima che la sostenibilità come è intesa dall’ANVUR non si fa con i soli docenti di ruolo. Uno dei temi su cui la Rettrice ha sempre mentito è stato appunto il fatto che i criteri ANVUR fossero troppo stringenti. L’indicatore è quindi parziale infatti non tiene conto che, anche alla luce degli ultimi DM di revisione del Decreto sull’accreditamento, possono essere conteggiati anche i docenti non di ruolo, ad esempio contrattisti. La seconda riflessione è più interna alle politiche di Ateneo. L’UDUAQ ha sempre portato all’interno degli organi centrali posizioni sulla ripartizione dei Punti Organico, strumento tramite cui si possono “acquistare” docenti, che tenesse conto delle esigenze dei corsi di laurea più in emorragia e soprattutto strategici per l’Ateneo. Si è scelto invece sempre una strada che tenesse conto dell’accontentare un po’ tutti, “riproducendo” gli equilibri di “potere” dei settori scientifici, con pochissima attenzione alle esigenze di riequilibrio a favore dei settori in sofferenza, andando di fatto a rendere la situazione della didattica instabile, soprattutto per alcuni corsi di laurea. Non dimentichiamoci poi dell’occasione mancata nel nuovo accordo di programma dove la Rettrice sembrerebbe non aver ascoltato la proposta venuta proprio dal Consiglio Studentesco dell’UDUAQ, dove si chiedevano al MIUR risorse da finalizzare a rafforzare la docenza nei corsi di laurea in sofferenza, in modo da stabilizzare l’offerta formativa invece che ridurla o di “chiuderla” con il numero programmato.

ATTRATTIVITÀ

Questo indicatore pesa la % degli immatricolati provenienti da altra regione nel nostro Ateneo. In questo caso dobbiamo considerare il fatto che i dati si riferiscono all’ultimo anno accademico ovvero il 2014/2015 e quindi è un dato che si può legare direttamente alla nuova Governance e alle sue scelte. Ebbene qualcuno potrebbe dire siamo noni, poco male ma se guardiamo alla classifica dell’anno precedente perdiamo ben 10 punti percentuali. Questo indicatore si lega molto bene al report sulle immatricolazioni dell’UDUAQ di qualche settimana fa e conferma quanto già denunciato. Le scelte sbagliate in termini di offerta formativa da parte della Rettrice hanno prodotto una diminuzione drastica di studenti fuori regione mentre per gli altri Atenei dell’Abruzzo e per quelli che per dimensione e disposizione sono nostri concorrenti ha generato un aumento significativo. La posizione “ancora positiva”, stante le politiche attuali, andra’ scemando.

EFFICACIA

per quanto riguarda questo indicatore invece il suo risultato sbugiarda le critiche di coloro che hanno sempre sostenuto che all’Univaq, nel post terremoto, si fossero iscritti sempre e solo studenti finti soprattutto nei corsi di laurea che adesso sono a numero programmato. Possiamo affermare ciò perché questo indicatore misura i cfu medi conseguiti durante 1 anno solare dagli studenti attivi, ovvero per chi ha conseguito almeno un cfu durante l’anno. L’indicatore per l’Aquila indica quindi che per l’anno solare 2014 sono stati conseguiti in media 31,33 cfu. Un dato che, seppur ricopre i posti inferiori della classifica, vede una differenza rispetto alle prime posizioni solamente di 10 cfu. Quindi una classifica un po’ stretta in cui con pochi cfu in più, calcolando che sono una media, si ottengono posti nettamente migliori. La particolarità è però che, rispetto alla classifica del 2014, L’Aquila guadagna quasi 7 cfu in più come media, andando a migliorare di netto la propria posizione e non grazie a strumenti quali il numero programmato. Infatti, la coorte che si tiene in considerazione è quella dell’anno accademico 2013-2014: prima del numero programmato. Ma questo dato ci mostra anche un’altra realtà ovvero che le denunce degli studenti e dell’UDUAQ negli ultimi anni sui famosi Bottleneck, ovvero quei corsi di studio che presentano esami in cui pochissimi studenti riescono a superarli a causa delle posizioni dei docenti, sono del tutto veri. E anche qui l’azione dell’Ateneo negli ultimi anni è stata nulla. Si parla sempre di merito e qualità degli studenti ma si rende difficile fare un vero discorso sulla qualità della didattica e sui colli di bottiglia. Se ad Edile Archiettura il tempo di laurea e’ superiore ai 9 anni, contro i 5 di durata legale, se a Fisica la durata e’ oltre i 7, contro i 3 di durata legale, se intere sessioni di laurea a Matematica sono andate deserte per “il blocco” generato per quasi tutti da un unico solo esame, non e’ agli studenti “presunti finti” che si deve guardare, ma alla didattica e alle difficolta’ delle strategie di “autovalutazione e valutazione” che vanno ad incidere realmente, autovalutazione e valutazione sostanzialmente inutilizzata da molto consigli didattici.

Per quanto riguarda gli altri indicatori quello sulla dispersione mostra un tasso abbastanza preoccupante di abbandoni dopo il primo anno accademico. Gli indicatori sulla ricerca invece si basano tutti sulla VQR 2004 – 2010. Sono quindi dati oramai noti e superati per cui si sta continuando, ad esempio, ancora a premiare gli Atenei nella redistribuzione del Fondo di Finanziamento Ordinario. Sono quindi indicatori da valutare alla luce di queste considerazioni. Infine per i restanti altri indicatori non si presentano particolari criticità se non che la soddisfazione, ottenuta da questionari sottoposti ai laureandi, sulla didattica nell’anno 2015 rispetto al precedente si arresta e scende di uno 0,1.

Dobbiamo quindi utilizzare questi indicatori in maniera singola e il quadro che ne viene fuori è, a nostro avviso, abbastanza chiaro ed univoco: la strada intrapresa nelle politiche del nostro Ateneo per i prossimi anni porta ad un vicolo cieco, bisogna cambiare strategia. L’idea che “la soluzione” sia “meno corsi, meno posti, meno studenti” apre un circolo vizioso e non virtuoso, il cui esito sara’ un Ateneo piu’ piccolo, meno attrattivo, non automaticamente piu’ “performante” (scusate il termine) sul terreno della ricerca. Non esiste un automatismo che da “meno didattica” porta a “piu’ ricerca”. Noi pensiamo che sia necessaria una strategia di investimento (e l’accordo di programma poteva essere lo strumento) su settori in sofferenza per tendere invece ad un ateneo che stabilizza un’ampia offerta formativa e conseguente ampia attrattivita’, e che affronti il tema della ricerca non in contrasto con la didattica. Didattica e Ricerca devono andare di pari passo e non sono e non possono essere delle singole priorità.

Le scelte che si prenderanno nel prossimo anno accademico e in quello successivo potrebbero segnare in maniera netta il destino del nostro ateneo per un intero lustro futuro generando un gap con gli altri Atenei, in un periodo di scarsità di risorse pubbliche, difficile da colmare.

Puoi scaricare l’analisi in formato pdf QUI

 

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