Falcone, una vita contro la mafia
Pubblicato il 23 Maggio 2017 | Autore: Redazione Udu L'Aquila | Categoria: In evidenza, Primo Piano
“E’ morto, è morto nella sua Palermo, è morto fra le lamiere di un’auto blindata, è morto dentro il tritolo che apre la terra, è morto insieme ai compagni che per dieci anni l’avevano tenuto in vita coi mitra in mano. E’ morto con sua moglie Francesca. E’ morto, Giovanni Falcone è morto. Ucciso dalla mafia siciliana alle 17:58 del 23 maggio del 1992. La più infame delle stragi si consuma in cento metri di autostrada che portano all’inferno. Dove mille chili di tritolo sventrano l’asfalto e scagliano in aria uomini, alberi, macchine. C’è un boato enorme, sembra un tuono, sembra un vulcano che scarica la sua rabbia. In trenta, in trenta interminabili secondi il cielo rosso di una sera d’estate diventa nero, volano in alto le automobili corazzate, sprofondano in una voragine, spariscono sotto le macerie. Muore il giudice, muore Francesca, muoiono tre poliziotti della sua scorta. Ci sono anche sette feriti, ma c’è chi dice che sono più di dieci. Alcuni hanno le gambe spezzate, altri sono in fin di vita. Un bombardamento, la guerra.”
Così recitava un articolo del 24 maggio 1992. Sull’autostrada Trapani-Palermo i boss di Cosa Nostra cancellano in un attimo il simbolo della lotta alla mafia.
Una tonnellata di esplosivo, un telecomando, un assassino che preme un tasto. Così uccidono l’uomo che per dieci anni li aveva offesi, che li aveva disonorati, feriti. La vendetta della mafia, la vendetta che diventa morte in un tratto di autostrada a cinque chilometri e seicento metri dalla città, la città di Giovanni Falcone.
Sono passati 25 anni dall’attentato ricordato con il nome di “Strage di Capaci”, in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Falcone E’ considerato insieme a Paolo Borsellino, suo collega ed amico, un eroe italiano della lotta contro la mafia.
Uscito dal jet che lo aveva portato da Roma a Punta Raisi, Giovanni Falcone prese posto insieme alla moglie in una Fiat Croma che, preceduta e seguita dalle auto di scorta, avrebbe dovuto portarlo a Palermo ma giunto all’altezza di Capaci, viene travolto dall’esplosione di una carica di 1000 kg di tritolo, sistemati all’interno di un cunicolo di drenaggio sotto l’autostrada.
Fu una strage architettata con diabolica precisione dalla mafia. In un’intervista dell’agosto ‘91 Falcone stesso parlò della mafia in questi termini: “Certo dovremo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo mafioso. Per lungo tempo, non per l’eternità: perché la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave.”
È fondamentale per questo preservare la memoria, ma è altrettanto importante dare continuità al passato per costruire il futuro, perché di fronte ai valori della legalità, della giustizia e dell’onestà e di fronte a personaggi indiscutibili che hanno ricercato la verità a costo della vita, non ci sono divisioni né scissioni.
Giovanni Falcone non è solamente nella storia, ma esiste ancora nel presente e continuerà a lungo a fare parte del futuro del paese, trasmettendo l’emozione della speranza ed il coraggio di credere che si possa fuoriuscire dalle sabbie mobili del malaffare e della schiavitù. Noi siamo coloro per i quali persone come Falcone si sono impegnate nel disegnare un paese democratico, libero e giusto e per i quali infine hanno dato la vita. Quando parliamo di lotta alla mafia uno dei nostri primi pensieri va a Giovanni Falcone, un uomo che riuscì a dare un volto a questo male, a perseguirlo, modificando drasticamente il modo di affrontare questo problema. La criminalità organizzata in quegli anni esercitava il proprio potere soprattutto sul meridione attraverso lo spaccio di droga, il racket, il controllo degli appalti e dell’edilizia civile in moltissimi comuni dalla Campania alla Sicilia, passando per la Calabria, pur essendo costantemente presente, magari in maniera meno evidente, in tutta la penisola. La maggior parte delle volte diramava le proprie radici per via indiretta, attraverso i partiti al governo delle realtà locali. Collusione tra stato e mafia, lotta alla mafia, strage di stato, queste sono le parole chiave di quegli anni.
Il ventennio dopo lo stragismo ha visto crescere in maniera esponenziale la corruzione, ha ‘legalizzato’ e marcato il sentiero dell’illegalità, dell’impunità, del malcostume e del malaffare nella vita politica ed economica del paese. E che dire del fronte giustizia? E che dire sulle verità non ancora scoperchiate relative ai mandanti di uccisioni come la sua? Tutto cambia, nulla cambia? Forse in questo mondo imperfetto.
Dal silenzio complice di un tempo si è però alimentato il risveglio civile, non solo in Sicilia ma sull’intero territorio nazionale. Il Paese, quello della gente comune, si è dimostrato ricettivo più delle istituzioni nel coltivare e fare sbocciare una nuova coscienza civile e una differente coesione sociale. Cresce la consapevolezza e la condivisione dei principi di cui Giovanni si è fatto portatore, ancor più dopo la scomparsa. Esiste una reale frattura tra cittadini ed istituzioni e per rinsaldarla, esclusivamente nel nome del bene comune, non si può più essere attendisti e aspettare l’azione dall’alto né tantomeno si può continuare a delegare. Spetta alla gente, dal basso, far fiorire nuove forme di culture e civiltà che traccino la strada verso il miglioramento sociale per il quale tanta gente, troppa, è morta. Il cambiamento può e deve nutrirsi anche degli insegnamenti di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino e di tutte le altre vittime della mafia: impariamo ad essere cittadini consapevoli, responsabili e liberi. È l’individuo, il cittadino, che determina e costituisce la vivibilità democratica di una nazione. “Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando si tratta di rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare.”, affermava Falcone.
Questa è l’eredità lasciataci. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono uomini che non muoiono. Uomini indiscutibili, forze e simboli di un intero paese. Corre il dovere in capo ad ognuno di noi di trasmettere i loro ideali, il loro vissuto e di farli conoscere alle nuove generazioni affinché si crei una staffetta comportamentale con i più giovani, un passaggio di consegne di quei valori da radicare in grado di generare una nuova cultura.