23 settembre 1943: settantaquattro anni fa, l’eccidio dei nove Martiri aquilani
Pubblicato il 22 Settembre 2017 | Autore: Redazione Udu L'Aquila | Categoria: In evidenza, Primo PianoAppena dopo l’8 settembre 1943 e l’occupazione da parte delle truppe tedesche, cominciarono ad avvertirsi aneliti di liberta’ in molti giovani, che si organizzarono in piccoli gruppi allo scopo di sottrarsi ai rastrellamenti non semplicemente nascondendosi, ma mettendo in atto azioni contrarie ai reparti nemici.
Uno di questi gruppi, composto da una quarantina di giovani aquilani, si procurò delle armi e lasciò la citta’ con l’intento, così pare, di raggiungere i militari italiani arroccatisi a Bosco Martese, nel Teramano. Si trattava di giovani coraggiosi, euforici, forse anche ingenuamente convinti di poter affrontare la guerra da soli, sottovalutando le potenzialita’ del ben collaudato contingente tedesco.
Sta di fatto, che a differenza di tanti coetanei che preferirono solo nascondersi, quei ragazzi andarono in montagna con le armi in mano.
Bruno D’Inzillo, Bernardino Di Mario, Fernando Della Torre, Carmine Mancini, Giorgio Scimia, Francesco Colaiuda, Anteo Alleva, Sante Marchetti e Pio Bartolini avevano tutti tra i diciotto e vent’anni. Dopo l’8 settembre si erano uniti ai partigiani che cercavano di respingere le truppe di occupazione tedesche. Per sfuggire ai rastrellamenti si erano rifugiati sulle montagne nei pressi di Collebrincioni (L’Aquila).
All’indomani dell’armistizio, l’Italia si era ritrovata spaccata in due lungo l’Abruzzo da quella linea Gustav che era la prima difesa della “fortezza Europa” dinanzi all’avanzare degli anglo-americani. La fuga del re, lo sbandamento dell’esercito, la liberazione di Mussolini si erano consumati nell’arco di soli quattro giorni. Tutto si era svolto in tempi talmente rapidi ed in circostanze così tumultuose che moltissimi militari e tutti i civili, erano stati costretti nel giro di pochissimi giorni o persino di ore, tra mille incognite, a compiere fondamentali scelte di campo, anche se spesso condizionate da circostanze oggettive.
Era il 23 settembre 1943 quando, nel tentativo di organizzarsi contro l’invasore, quei giovani furono arrestati dai paracadutisti tedeschi nei boschi vicini a Collebrincioni, dopo un impari conflitto, ritenuto uno dei primi scontri tra civili e militari tedeschi. I nove ragazzi, condotti nella Caserma Pasquali- Campomizzi, furono barbaramente trucidati dopo essere stati costretti a scavare due fosse comuni e solo nove mesi dopo le famiglie seppero del tragico destino dei loro figli. I loro corpi furono rinvenuti dopo la liberazione della città dell’Aquila, avvenuta il 13 giugno del 1944.
Il sacrificio dei Nove martiri, spesso erroneamente fatto passare come una bravata, è forse il primo atto della Resistenza italiana; è fondamentale ricordare quei giovani anche nel loro ultimo cammino, nei loro ultimi passi, che da Collebrincioni li hanno condotti a morire tra le mura della caserma Pasquali-Campomizzi. Da questi episodi è nata l’Italia di oggi, quella che i giovani devono essere in grado di continuare a costruire.
Una citta’ e un popolo che dimenticano, o volutamente ignorano, commetteranno prima o poi gli stessi errori del passato.
Alcuni decenni orsono, il coraggio di osare non si pagava con una figuraccia o la semplice indifferenza.
Corrado Colacito scrive nel volume: “I Martiri Aquilani del 23 settembre 1943”
“… Non si mossero, quei ‘ragazzi’, perché volessero sfidare un immortale destino; essi volevano una cosa molto più semplice ed umana: volevano evitare la vergogna e l’umiliazione di essere schiavi dei nuovi dominatori, che, tracotanti e baldanzosi, calpestavano il suolo della patria, il suolo abruzzese, il suolo aquilano.
E non si batterono come eroi ma come ‘ragazzi’; però non v’erano molti ‘ragazzi’ come loro in tutta la penisola, durante quel triste frangente. Andarono, essi, incontro alla Liberta’, e incontrarono invece la morte sul loro cammino. I Nove Martiri Aquilani sono e saranno sempre degni di compianto e di onore.”
Per questo la Resistenza italiana, nel panorama dei movimenti europei di opposizione al nazifascismo, viene ad avere una caratteristica di prevalente sollevazione popolare, di guerra “civile” perché coinvolge direttamente i cittadini. E quella che sarà l’eredità della lotta di Liberazione, cioè la nascita della Repubblica e il varo della Costituzione, si ritroverà su valori condivisi dalle diverse forze politiche che ritrovavano nell’Assemblea Costituente la stessa rappresentanza che avevano già sperimentato nel Cln, il Comitato di Liberazione Nazionale.
Non a caso Italo Calvino, partigiano a poco più di vent’anni nell’Imperiese con il nome di battaglia Santiago, ha scritto: “Avevamo vissuto la guerra (…) non ce ne sentivamo schiacciati, vinti, ‘bruciati’, ma vincitori, spinti dalla carica propulsiva della battaglia appena conclusa, depositari esclusivi di una sua eredità”.
Così come Pin, il ragazzino protagonista del suo libro “Il sentiero dei nidi di ragno”, povero, ma non di coraggio e di voglia di fare qualcosa, anche di piccolo, per il suo Paese e per porre fine alla guerra, al fascismo e al nazismo. Quest’ultimo è un personaggio di fantasia, si potrebbe dire. In realtà, nulla sarebbe stato possibile se, come lui, non fossero stati in tantissimi a credere di poter far qualcosa unendosi insieme in quella che è stata chiamata la lotta di Resistenza.
I partigiani hanno spesso pagato la loro resistenza al regime fascista perdendo la vita. Erano un esercito improvvisato che doveva combattere contro uno perfettamente organizzato e potente come quello nazista. Bisogna perciò essere consapevoli del valore odierno della resistenza, di cosa è rimasto oggi a noi, a distanza di tanti anni da giorni come quelli dell’autunno del ‘43, che cambiarono le sorti dell’Italia. Resistenza vuol dire contrastare un regime che va contro i principi della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza. Resistenza vuol dire rischiare la vita e la propria libertà per garantire all’umanità un futuro libero da dittature.
La storia ha il compito di insegnare e dalla storia dobbiamo imparare, per meglio comprendere perché questi eventi sono e devono rimanere nel nostro calendario, è bene ricordare. Valori preziosi che devono insegnarci a non ripetere gli errori, valori che la Scuola e l’Università dovrebbero rendere motore primo della formazione giovanile.
Questa è resistenza:costruire la propria libertà ogni giorno consci di non essere dei ‘singoli’ ma una ‘collettività’.